SPECIAL
Semovente 75/18 su scafo M14/41

di Andrea e Antonio Tallillo
G.M.S. – Gruppo Modellisti Scaligeri – Verona



Introduzione


La situazione del parco corazzati del Regio Esercito – in scala 1-35 – è come a metà di un guado – da una parte molta acqua è passata sotto ai ponti rispetto ai primi kits Italeri e Tamiya, e sono comparsi kits di buona fattura, alcuni recenti sono addirittura più che discreti.
Dall’altra, in attesa di ulteriori miglioramenti, ovvero del vero e proprio rinnovo della linea dei carri medi e semoventi da essi derivati, che da qualche tempo viene ufficiosamente dato come sicuro, non resta che cercare di adeguare ad un migliore livello di riproduzione i kits veterani.

Abbiamo scelto, per mettere in pratica questo prologo, quello Italeri del semovente da 75/18, apparso molti anni fa ma che dal punto di vista dei risultati e del sano divertimento modellistico non tradisce mai. Se proprio non lo avete in cantina, poco male, il kit Zvezda non è che l’Italeri con un leggero restyling. A proposito di cosmesi, personalmente non ci facciamo tentare dalla recentissima proposta Tamiya, ritenendo il kit Italeri o Zvezda ancora buono, di base.

Tra i vari kits di miglioramento e per gli interni, spicca quello in resina della Model Victoria, che se sposato al kit già citato e corredato di alcuni lavori in dettaglio darà vita ad una bella riproduzione di uno dei mezzi più validi messi in campo sino all’armistizio del 1943. Cominceremo, come nostra abitudine, con una spolveratine di storia per meglio inquadrarlo nel suo periodo e contesto. Per quel che riguarda il modello, potrete scegliere se arrivare a completarlo e chiuderlo o trarre qualche spunto dalla ‘proposta d’interni’ ed imbarcarvi in un’avventura modellistica più lunga e faticosa, ma senz’altro più soddisfacente quando sarà portata a termine.




Un po' di storia

L’apparizione dello Sturmgeschutz III tedesco fece si’ che anche da noi si considerasse la possibilità di realizzazione di un semovente del genere, usando come scafo di partenza quello del carro medio M13/40, da poco entrato in servizio.

Con l’ordinativo iniziale di 60 esemplari si costituirono i primi gruppi d’artiglieria semovente pensati ancora a fine novembre 1940 per l’appoggio a distanza di formazioni corazzate. Poi, le circostanze videro invece i reparti sempre più usati ‘spalla a spalla’ coi carri medi, il numero e la validità dei mezzi avversari videro i nostri semoventi contrastarli sostituendosi ai carri M. Anche se i successi tattici erano innegabili, i semoventi conservavano però gli stessi difetti e limiti costruttivi dei carri M13/40. Su di essi il semovente aveva comunque il vantaggio di una minore vulnerabilità, anche grazie alla sagoma più bassa ed alla maggiore protezione – almeno anteriormente – mentre l’armamento era competitivo anche nei confronti dei panzer.

Nel tentativo di migliorare il mezzo, si decise poi anche per il semovente di usare lo scafo dello M14/41, i dettagli più salienti erano un motore più potente ed una bullonatura più robusta in alcuni punti. Il nuovo semovente, costruito in 162 esemplari, scrisse le pagine migliori della storia dei corazzati italiani in Africa Settentrionale e Tunisia, essendo l’unico mezzo italiano in grado di contrastare con molta efficacia i corazzati avversari, anche quelli americani, specie da quando si potè disporre delle granate EP (Effetto Pronto) a carica cava.
Altri esemplari, comunque, erano stati usati per costituire unità inquadrate in gruppi misti di cavalleria corazzata dal settembre 1942, sino ad arrivare, a fine anno, all’organico definitivo di due compagne semoventi ed una di carri medi M15/42.

I semoventi di cavalleria furono coinvolti nelle complicate vicende della difesa di Roma contro le truppe tedesche, ma alla fine essi figurarono tra i 113 mezzi presenti nel rapporto ufficiale sul materiale catturato dalle forze tedesche. Da allora, gli unici semoventi di cavalleria italiani M41 furono i pochi presenti nell’ambito di uno Squadrone del Gruppo Corazzato San Giusto della R.S.I.



Varianti

L'unica variante del semovente da 75/18, non considerando come tali gli aggiornamenti degli scafi, fu quella del carro comando che non montava la bocca da fuoco standard.

Nella prima serie su scafo M40 manteneva in casamatta le due mittagliatrici abbinate Breda da 8mm, sostituta negli scafi M41 ed M42 da una mitragliatrice Breda da 13,2mm in una culla sempre in casamatta, e manteneva la possibilità dell'installazione di un'altra mitragliatrice Breda Mod. 38 esternamente sul cielo della casamatta per l'impiego anti-aereo o di difesa ravvicinata.

Unita' con dotazione di "Semoventi 75/18 "

- Reggimento Esplorante Corazzato Lancieri di Montebello (8°) (5° Squadrone su 12 75/18)

- Reggimento Lancieri di Vittorio Emanuele II° (10°) (Squadroni 3°, 6°, 9° su 48 75/18)

- Reggimento Cavalleggeri di Lucca (16°) (3° Squadrone su 24 75/18)

- Divisione Ariete II (Regio Esercito); utilizzati durante la difesa di Roma

- Gruppo Squadroni Corazzati "San Giusto" (R.S.I.) (2 semoventi da 75/18 su scafo M42 nella primavera 1944)

- Raggruppamento Anti Partigiani (R.A.P.) - Gruppo Esplorante (2 semoventi da 75/18 su scafo M42)

- Gruppo Corazzato "Leonessa" (2 carri comando per batteria semoventi su scafo M42)

Dopo l'armistizio molti semoventi furono requisiti dai tedeschi.


Dati Tecnici

Periodo di costruzione:

1942-1943

Esemplari prodotti:

circa 200 (fra scafo M 40, 41 42)

Peso:

14,4 t

Larghezza:

2,23 m

Lunghezza:

5,04 m

Altezza:

1,8 m

Altezza da terra:

0,41 m

Equipaggio:

3 uomini, capocarro/cannoniere, servente e pilota

Armamento principale:

un cannone da 75/18

Armamento secondario:

n/d

Munizionamento:

da 44 a 50 colpi cal. 75 mm
1104 colpi cal. 8 mm

Sistema di puntamento:

collimatore a cannocchiale

Motore:

Spa 25 TB M42 con 8 cilindri a V

Cilindrata:

11.980 cc

Potenza:

192 HP

Alimentazione:

benzina

Autonomia su strada:

220 km circa

Autonomia fuori strada:

10 ore circa

Velocità massima su strada:

49 km/h

Velocità massima fuori strada:

20 km/h

Pendenza superabile:

fino al 90%

Capacità di guado:

1 m

Ostacolo verticale:

0,8 m

Ostacolo orizzontale:

2,1 m



Photofile Tavole



TAVOLA A


TAVOLA B


TAVOLA C


TAVOLA D


CORAZZATURE
 

Photofile Semovente esposto a Bergamo


 

Photofile Dettagli


 
 


Bibliografia e Ringraziamenti

Per le informazioni sui semoventi di cavalleria, ringraziamo il colonnello D’Inzeo, curatore dell’utilissimo sito internet dedicato alla Cavalleria Italiana. Per le fotografie del semovente vero e proprio ringraziamo il colonnello Matteace e tutto il personale del Museo della Motorizzazione Militare della Cecchignola. Per l’interessante corrispondenza intercorsa circa gli interni, una grazie va anche a Leonardo Landi, l’autore del magnifico diorama ‘Ariete combatte’ e tra gli ‘happy few’ che s’interessano ai nostri mezzi del tempo che fu.

- A.A.V.V. – Ground Power 15, Italian Fighting Vehicle of World War II – Tokyo – Delta Publishing 1995

- L.Ceva e A.Curami – La meccanizzazione dell’Esercito fino al 1943 – Roma – Ufficio Storico SME 1989

- C.Falessi e B. Pafi – Veicoli da combattimento dell’Esercito italiano 1939-1945 – Bologna Intyrama 1976

- N.Pignato e F.Cappellano – Gli autoveicoli da combattimento dell’Esercito Italiano – Volume 2° - Roma - SME  2002-2007



Il kit Italeri


Esterni

Prima d’inserire la piastra della prua, ci sia accorge che mancano le file di rivetti orizzontale e verticale . E’ vero che sono annegati quasi alla perfezione ed in scala risultano quasi invisibili, è perciò sufficiente incollare bulloni ricavati dalla parte inferiore dello scafo e, ventiquatt’ore dopo, abbassarli con una fresetta a testa piatta, alla minima velocità consentita dal nostro trapanino. I ganci di traino erano in fusione, è cosi non basta incollare i pezzi, ma c’è da raccordarli alla base usando dello stucco unito a cianoacrilato – che ne amplifica le potenzialità - rendendo il pezzo del gancio un corpo unico con la piastra di base; con questo abbiamo già finito nell’angolino in questione (Vedi  Tavola A – Particolare 1 ).
La piastra inclinata in resina non pone problemi, essendo dettagliata sino a proporre già il distintivo circolare – che però dovremo togliere se ambientassimo il nostro modello dopo il 25 luglio 1943. I portelli per il raffreddamento dei freni hanno le parti anteriori inclinate – la battuta, per intenderci – ed i pomelli d’apertura già stampati, raffinatezze introdotte proprio da Model Victoria. Molto probabilmente, con le prime prove a secco troveremo necessario ridurne lo spessore in modo che essa non vada a battere proprio contro il gruppo freni-cambio. Una volta trovato l’accomodamento, per poter maneggiare il tutto con più praticità la dovremo unire alla sovrastruttura. Il pezzo Model Victoria – al contrario di quello Italeri, spesso soggetto a svergolature – è sufficientemente rigido ed anche la corazzatura anteriore è riprodotta – finalmente, in due piastre, come nella realtà. Per non dimenticare di farlo dopo, quando saremo presi dal sacro fervore, aggiungiamo i bulloni mancanti sui supporti posteriori di rinforzo dello scafo (2) ed i rivetti su quelli dei ganci di traino laterali (3). Sempre per lo stesso motivo, potremo trattare l’occhione di traino anteriore (4) come fatto per i ganci, ora che essi sono perfettamente asciutti e pronti. Avendo scelto la versione M41, dai lati del pezzo in resina toglieremo la bullonatura inferiore, essendo necessari i parafanghi in plastica. La striscia d’attacco (5) può essere riprodotta in plasticard, su di essa riposizioneremo i bulloni tolti prima. Si può usare come dima la sovrastruttura Italeri, aiutandoci con un vecchio pennello per il posizionamento, bagnando i punti interessati con trielina o prodotto similare, unico modo per ottenere una specie di micro-fusione, che resista nel tempo più del semplice incollaggio.

I montatoi andranno rifatti usando gli attacchi originali e ricostruendo il corpo in tubolare con filo di rame (6). Per essere più facilitati, è consigliabile inserire almeno gli attacchi già sulle strisce imbullonate inserendo poi i tubolari quando avremo già montato i cingoli. A proposito di bulloni, ce ne sono due, presenti su questa versione, da applicare sulla piastra di sinistra (7). Anche le maniglie laterali sul cielo (8), da rifare in filo metallico dolce partendo dagli attacchi Italeri, resteranno intatte se montate nelle ultime fasi. I fari vengono forniti già cavi, per renderli più realistici basta aggiungere la lampadina e ricavare i vetri col semplici espediente di adoperare un punzone di giusto diametro, su di un foglio d’acetato trasparente. I portelloni sono ben dettagliati, coi rivetti molto fini ed anche il portellino per il cannocchiale di puntamento del pezzo di bordo è buono, di spessore fine e col dettaglio del meccanismo di chiusura.
Inserendo il cofano motore a secco, proveremo anche la sua unione con la paratia in resina, se avremo proceduto bene con gli interni saranno sufficienti solo alcuni colpetti di lima per pareggiare la paratia stessa. Se il cofano cade bene sulla sovrastruttura, incolleremo la paratia usando della colla bicomponente che ci permetterà un posizionamento ‘al millimetro’ della piastra. Il cofano motore Italeri non è all’altezza di altre parti del kit, sulla faccia verticale della prima parte del cofano, quella coi portelli, e sui lati vanno aggiunti i grossi rivetti, annegati (9). Il carter del radiatore (10) Model Victoria è molto realistico come forma e dimensioni, tuttavia mancano due bulloni; la parte subito sotto al carter è priva dei bulloni, che vanno aggiunti . Sotto alle griglie si possono incollare dei foglietti di plasticard, magari con incollata una reticella finissima (il tutto aerografato in grigio scurissimo) per dare l’idea dei radiatori sottostanti e nascondere la mancanza delle parti interne. Sotto alla cornicetta sporgente dal pezzo grigliato Italeri, c’è da aggiungere una ‘L’ in plasticard (11) che nel mezzo reale aveva la funzione di trattenere meglio le due piastre, sulla quale posizioneremo i bulloni in corrispondenza di quelli già presenti sopra. Mancando ancora ruote di rinvio e parafanghi è ancora possibile lavorare agevolmente in zona e cosi’ miglioreremo la parte posteriore dello scafo (12) aggiungendo i bulloni mancanti alla parete verticale, in basso (A), in alto (B) e lungo il bordo superiore del porta attrezzi interno (C). Il suo coperchio (13) è da riquadrare col cutter per dargli maggior risalto, poi basta togliere il segno circolare di stampo ed aggiungere la maniglia a ‘T’ tra i due bulloni stampati. Il maniglione di traino (14) è fondamentalmente corretto nella forma, però mancano i bulloni sugli attacchi. I galletti di chiusura dei portelli del cofano motore (15) andranno migliorati per renderli più realistici.

E’ il momento di provare a secco i parafanghi, che andranno leggermente ridotti nello spessore; se calzassero già bene, lavoriamo ai supporti anteriori (16) ed a quelli a metà scafo, quello più avanti (17) proseguendo con l’altro, corrispondente al retro della sovrastruttura ed al posteriore (18), usando plasticard sul quale riporteremo dei bulloni. Dopo aver praticato il foro d’ispezione negli elementi anteriori con delle fremette, usando come dima i parafanghi Model Victoria, con qualche piccolo aggiustamento e stuccatura dovremmo essere a posto, potremo incollare gli elementi dei parafanghi, posizionando l’attacco posteriore per ultimo. Le cassette porta attrezzi laterali (19) sono da migliorare, se usiamo i pezzi Italeri, riproducendo il bordo esterno dei coperchi (A) con striscioline di carta, anche per il meccanismo di chiusura a linguetta ed occhiello (B). I pezzi analoghi presentati nella confezione in resina sono già molto buoni, come del resto le marmitte e non c’è che da staccare entrambe le coppie dalle loro materozze.
Gli interventi da applicare al treno di rotolamento sono sempre i soliti, comunque ricapitolando si parte con l’inserimento di pezzetti a sezione semi-circolare che facciano da ponticello nei confronti delle balestre, eliminando l’imbarazzo di una fessura che in caso contrario si scorgerebbe (20). La costruzione delle sospensioni è stata portata a termine non lasciando nessuna parte mobile, per praticità. Ora passiamo a dettagliare il regolatore di tensione della ruota di rinvio (21) , riposizionando i bulloni ed aggiungendone due verso il retro, come visibile nel dettaglio. E’ consigliabile usare il cianoacrilato per le ruote motrici e di rinvio, per evitare che i loro sottili perni finiscano indeboliti da una normale colla. Prima di montare le ruote, le carteggeremo leggermente facilitando la presa della colla tra esse e le maglie di cingolo nei punti di contatto. I cingoli usati sono quelli in resina sempre di Model Victoria, consigliabili per il costo contenuto e l’ottima resa data dallo stesso concetto d’incastro. Il montaggio degli attrezzi è stato preceduto dalla loro correzione, ma c’è anche da ridurre in altezza la coppia di staffe che li fissava, per farli rientrare in una più bassa sagoma, in pratica non più in alto della presa d’aria della sovrastruttura (22). Il martinetto di sollevamento (23) va corretto nella forma e n elle proporzioni, troverà in seguito posto a sinistra, nel suo telaio metallico circolare che lo fissava (24), da autocostruirsi. La coppia di rulli di scorta non era montata e va perciò tolto il loro supporto. La chiave tendicingoli (25) andrà migliorata nella sua parte inferiore, da sostituire con una struttura meno spessa in plasticard, mentre nel corpo c’è da ricavare gli incavi che ospitavano i bulloni. Gli ultimi dettagli da aggiungere, a modello verniciato ed ambientato, per non danneggiarne altri già presenti, sono la catenella della copertura di protezione del supporto a bocca di lupo per la mitragliatrice antiaerea (26), il supporto a forcella per l’antenna, quando abbassata (27), esso è riproducibile in plasticard ed andrà inserito presso l’angolo posteriore sinistro del cofano motore, aggiungendo anche i bulloni che lo trattenevano.

Aggiungeremo anche le guaine dei fili dei fanalini posteriori (28) ricavabili con sottile filo di rame. L’antenna radio dovrà essere alta circa 6 cm, compreso il supporto e dovrà portare un minuscolo dischetto all’estremità.
Con gli interni inseriti e la chiusura della sovrastruttura, si puo’ dipingere il nostro semovente anche prima d’applicare ruote, gruppi di sospensione e cingoli. Il mezzo non ha conosciuto grande quantità di mimetizzazioni, anzi molti possono essere riprodotti ad uno schema semplice, in giallo sabbia (chiamato all’epoca khaki sahariano). Con almeno due mani leggere, applicate con l’aiuto dell’aerografo e lasciate ad asciugare per un ragionevole lasso di tempo, si otterrà la base per il successivo invecchiamento. Lo scafo va sporcato con acquerelli, di varie gradazioni che rappresentino fango e polvere ma non in modo eccessivo. Il treno di rotolamento può essere verniciato a pennello, più con calma, perché presenta molte rientranze, da coprire meglio. Verniciatura ed invecchiamento, pezzo per pezzo, vanno applicate nello stesso modo per le marmitte, dipinte in metallo e ruggine, e per gli attrezzi. I cingoli, una volta pronti, sono stati dipinti a pennello con una miscela di nero ed alluminio ed una volta asciutti trattati con colori ad olio – per finire è stata passata una matita Carisma solo nei punti d’attrito.
Ogni mezzo aveva le targhe regolamentari, quella posteriore era metallica, delle dimensioni di 23 x 15 cm., fissata con sei bulloni allo scafo, sotto al fanalino di posizione. Sullo sfondo in bianco a smalto, la sigla di riconoscimento del Regio Esercito – rossa . era affiancata da una granata con fiamma dello stesso colore. Il numero progressivo – nel nostro esemplare il 5633 – era nero. I numeri di targa documentati vanno dal 4588 allo 5798, ma con diverse interpolazioni, leggi targhe in sequenza teoricamente, ma assegnate ad altri veicoli. Abbiamo ricavato la targa da un foglio RCR, dimensionando una delle targhe presenti a 6.5 x 4 mm e corredandola con trasferibili neri. I contrassegni rettangolari – di prammatica all’epoca – avevano dimensioni di cm. 20 x 12 ed erano verniciati sia sui fianchi della sovrastruttura (29) che una terza volta, sul retro dello scafo, a destra . Li abbiamo ottenuti da un rettangolo di 0.57 x 0.34 mm. ritagliato da una decal rossa, sulla quale è stato applicato il numero ‘4’ in bianco, a trasferibile, questa è una peculiarità dei mezzi della cavalleria (Il mezzo faceva parte, con tutta probabilità, dei 24 assegnati ai Cavalleggeri di Lucca della Divisione Ariete). La targa anteriore si può applicare per ultima, in scala ha le dimensioni di 11 x 2 mm. e quella già pronta più vicina a queste dimensioni l’abbiamo trovata in un vecchio foglio a trasferibile della MST. Con la sistemazione dell’interno del gruppo del cannocchiale panoramico, il cui oculare era dotato di una protezione antipioggia (30), sono quasi conclusi gli interventi ‘esterni’, ma non dimentichiamo, all’interno, la maniglia che lo faceva ruotare. Per avere un supporto dell’antenna più dettagliato (31), basta prendere la copertura del pezzo Italeri ed inserire da sotto uno spessore; la parte inferiore del cilindro va dettagliata coi tre rivetti del coperchio.

Chi volesse, dopo aver ambientato il mezzo, valorizzarlo ulteriormente con l’elemento umano – che a nostro parere aggiunge sempre molto, in termini di realismo ed inquadramento in un particolare periodo storico, si troverà ormai nel proverbiale imbarazzo della scelta. Si può, nell’anno di grazia 2009, contare su decine di soggetti, non solo stranieri, ma la nostra scelta è caduta su di un figurino non molto recente ma che a suo modo è stato una pietra miliare, ovvero quello della Hornet che riproduce un ufficiale dei Lancieri di Montebello, in tenuta di marcia. La sua espressione sorridente rende molto l’idea, più che decine di righe, della quiete prima della tempesta, nei dintorni di Roma. Verranno poi i combattimenti contro i tedeschi, che in totale costeranno la vita a 171 militari e 241 civili e costituiranno uno dei primi esempi della rinascita morale del nostro Esercito.

Interni

La realizzazione degli interni di un kit in modo approfondito – ovvero non solo quello che si può intravedere da un portello – non è un’impresa impossibile ma è meglio intraprenderla quando si ha un po’ d’esperienza. E’ vero che si può lavorare in contemporanea con parte degli esterni, ma è in agguato la stanchezza di non vedere, se non dopo tanto tempo, qualcosa di concreto venire fuori da tutto un lavoro che implica lavorare in spazi ridotti, confrontando sino alla noia gli ingombri dei vari sottoinsiemi e pezzi, non dovendosi stancare di misurare e ri-misurare, altrimenti ci troveremmo gabbati da pochi decimi di millimetro al momento ‘topico’ dell’assemblaggio definitivo. Perciò non biasimiamo nessuno, se volterà pagina e si fermerà al precedente articolo sugli esterni. Un’ultima premessa, ben pochi altri si sono cimentati con gli interni di questo semovente ed è un peccato, data la bontà del kit in resina di miglioramento che andiamo a descrivere. Possiamo solo consigliare di usarlo magari ‘a rate’ montando diversi pezzi su diversi mezzi, se non ve la sentite di fare tutto in una volta.

Inizieremo, con calma, a togliere, allo scafo del modello Italeri i segni preparati per i pezzi degli interni in plastica – ben poca cosa, del resto, in modo che poi la sistemazione di quelli in resina sia la più agevole. Il gruppo cambio-trasmissione finale non ha bisogno di molti lavori, va solo rifinita col plasticard la parte anteriore della scatola del cambio (Vedi Particolare 1 – Tavola B) e curata meglio la giunzione dei gruppi finali con le pareti (A), accorciandoli leggermente. Per praticità, l’albero di trasmissione è stato rifatto con un tondino di plastica solo quando si è stati sicuri sia sulla sua lunghezza che nel corretto posizionamento. Tra la scatola del cambio ed il cambio stesso, va sostituito il pezzo in resina che riproduce la lamiera imbullonata che univa il cambio alla parte interna della piastra inclinata anteriore (2) con una striscetta di plasticard. Dalla sporgenza della leva del cambio alla sua scatola vanno sistemati i cavi dei condotti dell’olio (3) – riprodotti con del filo di rame di spessore ‘giusto’ e fatti arrivare ad una placchetta da ricavare in plasticard (A). Con dei tondini della Evegreen, torniti leggermente, si possono rifare le leve orizzontali (4) del cambio (A) e del riduttore (B), i loro pomelli saranno quelli tolti dalle originali leve in resina. La leva del freno a mano (5) è rifatta più a fondo, si parte con del plasticard sagomato al quale apllicheremo la manopola originale in resina ed i tiranti, l’anteriore in filo di rame (A) ed il posteriore in plasticard (B).
Cambio e meccanismi di trasmissione-sterzo-frenatura costituivano un gruppo unico, sostenuto da un telaio metallico – nel dettaglio (6) quello dello M13/40, diverso nella parte destra, costituito da due sottoinsiemi. A sinistra era imbullonato un pagliolo in due parti, quella anteriore portava la pedana del pilota, la posteriore portava le guide sulle quali si muoveva il suo sedile. A sinistra del pagliolo era montato un rinvio leva (A) e posteriormente, l’albero trasversale comando frizione (B).
Il gruppo del sedile vero e proprio (7) era quasi interamente metallico, a partire dalle guide, la parte inferiore ed il fermo registrabile (A). Lo schienale (8) era invece in prevalenza in legno, su di esso era fissato il cuscino in cuoio grigioverde scuro, per riprodurlo basta incidere con una buona lama la parte corrispondente del pezzo in resina od applicarvi sottilissime strisce di plasticard. Non c’è neanche bisogno di notare – l’avrete indovinato – che l’imbottitura è riprodotta molto realisticamente, pure con qualche strappo qua e là. Una volta montato, il nuovo sedile è mostrato in (9), coi pezzi dei cardini (A) rifatti in plasticard sul quale applicheremo i bulloni; alla parte posteriore del pagliolo applicheremo una striscia di rinforzo imbullonata (B), badando che non interferisca con l’albero trasversale della frizione (10). In (11) è mostrato il edile di tipo abbattibile, diffuso nell’ultima parte della produzione di semoventi M14, che aveva cardini diversi ed innestati in modo diverso. In ogni caso, l’ormai famoso albero trasversale del comando frizione (12) proseguiva oltre il pagliolo di sinistra, per collegarsi alla scatola contenente gli episcopi di ricambio
per il pilota. Il sedile si fissava con un perno a molla infilato in uno degli otto fori praticati nel pagliolo stesso (13). Sul lato sinistro del telaio va aggiunto il rinvio della leva di sinistra (14), realizzato con tondini di plasticard da innestare poi alla parte inferiore della leva stessa (15) che piazzeremo poco prima. La leva deve apparire a cavallo del settore dentato; ricordiamoci che con le leve in avanti il carro è in marcia e senza sterzare, in verticale il carro è fermo – e frenato – in posizioni alternative è in marcia e sterzante. Le leve di sterzo (16) erano corredate di un’asta d’arresto (A), le manopole (B) andrebbero rifatte o almeno dettagliate un po’. Quella di sinistra, come s’è visto, era esterna e cosi’ il suo meccanismo di rinvio (17). Per quella destra, interna al pagliolo (18), va scavata l’apertura nella quale passava. Sulla parte anteriore del pagliolo sinistro era fissata una pedalina poggiapiedi, il pezzo fornito è discreto, tuttavia il disegno dell’antiscivolo era diverso (19; lo si potrebbe sostituire ma non è un lavoro facile senza l’uso di una lastra fotoincisa ‘di recupero’ che abbia un aspetto almeno simile, come per fare un esempio quella presente in alcuni fogli della Aber. Dalla pedana uscivano – vedi (20) – le leve del pedale della frizione (A) e dell’accelleratore (B); delle nuove leve sono ottenibili eliminando quelle in resina e sostituendole con fotoincisi o plasticard sagomato, le loro parti interne sono mostrate rispettivamente in (C) e (D). Dalla parte sinistra della pedalina, usciva l’alberino leva di rinvio dell’accelleratore (E); un pezzo da recuperare dalla nostra riserva. Se avessimo deciso di rifare la lastra antiscivolo, anche questo lato dovrà essere in sintonia col resto e per di piu’ con l’alberino che ne esce. Per dettagliare meglio la cassetta portaepiscopi (21) che era a disposizione del pilota dovremo staccarla, dopo una carteggiatura generale sui bordi superiori per ridurre lo spessore la accorceremo di 1 mm e la assottiglieremo di 0,5 mm, incidendo in seguito il coperchio, aggiungendo i cardini anteriori, la linguetta imbullonata che la fissava alla struttura dl telaio(A), le striscette rivettate (B) ed anche i nuovi fermi, visto che gli originali sono troppo grandi. Poco male, questi ultimi probabilmente saranno andati danneggiati con la carteggiatura.

La linguetta imbullonata descritta poc’anzi univa la cassetta al telaio per mezzo di una lamiera, da costruirsi in plasticard (Vedi particolare 22 – tavola C); prima d’incollare definitivamente la cassetta sulla sinistra del cambio, sono da rifarsi pure i fermi della parte esterna (A). Confrontando la parte destra del telaio in resina (23) con alcune foto d’interni e con la documentazione a portata di mano abbiamo scelto , nonostante il buon livello di dettaglio, di rifarci per quanto possibile la struttura inferiore, rendendola meno massiccia ed adeguandola nel contempo a quella degli esemplari più operativi. Dopo aver aggiunto la cuffia alla parte cilindrica (A), cercheremo di sostituire la parte immediatamente sotto alla cassetta munizioni – prima del sedile circolare del puntatore - con una struttura cava . Anche la parte coi fermi del cambio – le parti cilindriche che sporgono – andrebbe rifatta (B), ma il tutto diventerebbe fragile e per di più resterebbe oscurato dallo stesso gruppo del cambio e dalla casetta munizioni. Molte volte, operativamente, si preferiva smontare la seconda parte del pagliolo, conservando solo la prima (C) permettendo cosi’ al puntatore di essere più comodo sul suo sedile. La cassetta veniva dimezzata e montata direttamente sulla struttura inferiore, cosi’ la parte destra del telaio rifatto si presentava come ricostruito nel dettaglio (24). La prima parte del pagliolo (A) è autocostruita con del plasticard e la nuova cassetta in legno per le munizioni (B) è stata ottenuta chiudendo il lato tagliato con del plasticard, trattando tutte le pareti con una microlama Sign per riprodurre un effetto legno e completando col coperchio in resina del pezzo originale, tagliato a metà – e la struttura inferiore sporgente (C) – vedi anche il dettaglio (23). La piastrina che sorreggeva l’attacco del sedile – in basso a destra nel disegno - era montabile anche al contrario, aumentando cosi’ lo spazio a disposizione sotto alla lamiera che la sorreggeva (D); sulla destra il telaio presentava un rinvio speculare a quello di sinistra . La struttura che unisce le due parti anteriori (E) con qualcosa di meno massiccio, in plasticard. Per il sedile del puntatore (25) non resta eventualmente che sostituire l’elemento inferiore ed accorciare lo stelo; il cuscino andrà munito inferiormente dell’intelaiatura d’irrobustimento, riproducibile con listelli di plasticard.
Il gruppo della piastra inclinata e dei portelli dei freni è buono e gli stessi si possono posizionare anche socchiusi, come spesso accadeva nella realtà per aumentare il raffreddamento. Sia nell’uno che nell’altro caso è preferibile lavorare la piastra inclinata dall’interno, provandola a secco per controllare che, una volta posizionata, non urti contro il gruppo cambio-trasmissione. La parte sinistra rispetto al pilota, sulla parete del carro, può accogliere ora il complesso sistema del comando a mano dell’acceleratore (26), con la leva che scorreva nel suo settore dentato (A), il tirante a feritoia (B), la leva tripla (C) , il tirante registrabile verticale (D) e quello orizzontale (E). Di quest’ultimo (27) si conoscono due versioni, la prima (A) più semplice e riconducibile al tipo usato sullo M13/40, e quello del modello 41 (B), registrabile. Il sistema d’apertura interna dei portelli dei freni (28) è rappresentato dal pezzo 12, ma è privo della maniglia e va munito del tirante metallico che lo congiungeva appunto ai portelli tramite quello di destra. Dopo alcune prove a secco ed aver individuato meglio il suo posizionamento segnandolo sulla parete destra dello scafo con una matita (29) non resta che incollarlo. La riservetta destra posteriore manca, come del resto quella a sinistra; una scelta molto probabilmente perfetta per un esemplare operativo nel deserto, non altrettanto per quelli di stanza nel territorio italiano. Riprodurre almeno la prima (30) è facile, basta usare come riferimento le dimensioni di quella offerta nel kit, tenendola però più alta in quanto in essa era ricavato una parte dello spazio occupato dalle batterie, che sporgevano dalla paratia . Dopo aver ricavato il blocco di base col plasticard , basterà incollare alla piastra laterale dello scafo le strisce d’irrobustimento (A) ed aggiungere i listelli di rinforzo (B) ed il coperchio, copiando il sistema di chiusura dal pezzo Model Victoria. Lo sviluppo laterale delle due riservette è mostrato in (41), col vano batterie indicato in (A) e quello dall’alto – tratteggiato - in (32). Il vano batterie era coperto solo dal alto della mezzeria del veicolo, ma spesso le batterie stesse, per maggiore praticità, erano a cielo aperto. Con la riservetta posteriore montata non si vedrebbe molto o meglio le parti s’intuirebbero solamente, scegliendo di non montarla si vedrebbero bene, come mostrato nello schizzo (33). Il pezzo che riproduce la paratia (34) è molto bello e dettagliato, ma ha troppo spessore; andrebbe assottigliato o rifatto, usando come dima la paratia fotoincisa presente nel superkit della RCR relativo allo M13 /40; attenzione però perchè esse non erano perfettamente sovrapponibili ! Nel caso di un rifacimento (35), è più facile avere un effetto profondità, ben apprezzabile specie nella zona superiore sotto al serbatoio dell’acqua, quella inferiore centrale, dalla quale sporge il coperchio della frizione, quella del vano batterie a sinistra (B) e , nel suo piccolo, l’apertura per il rubinetto a tre vie del gasolio (C). Per il completamento dei dettagli della paratia – in essa se ne concentrano molti – non c’è nulla di meglio che consultare la fotografia n. 2954/C6 scattata al semovente targato RE 4462 a Bovington, pubblicata diverse volte ma sempre troppo in piccolo. Per fare mente locale potremo farci degli schizzi per ricordare che il gruppo superiore centrale (36) è composto dal bottone comando d’arresto del motore e dal bottone comando portata della pompa d’iniezione (A); Più in là, tra le due aperture, è presente il bottone comando per la pulizia del filtro dell’olio (37) e, proseguendo verso l’angolo sinistro, la maniglia di bloccaggio dall’interno dei portelli del cofano motore (38). La zona inferiore sinistra della paratia (39) presenta diversi dettagli, in parte nascosti dal filtro sinistro. Il tirante registrabile del comando acceleratore a mano (A) andrà unito a quello orizzontale – è il dettaglio (27), prima però bisognerà far scorrere sotto il collegamento col manometro dell’olio (B) altre due tubazioni, tra le quali il condotto flessibile dell’indicatore livello dei serbatoi. Si può completare il tutto col rubinetto a tre vie di mandata del carburante (D). Il fondo delle targhette metalliche smaltate (40) presenti in zona è nero satinato. Personalmente, consideriamo il filo di rame ancora tra i migliori materiali per riprodurre le tubazioni, non solo se ne trovano di ogni diametro o quasi, ma è possibile con l’aiuto di una
pinzetta piegarli ad hoc secondo l’aspetto che ci serve di volta in volta : con un po’ di colore a smalto diventano veramente delle buone repliche di tubazioni varie.
Il pezzo riproducente la scatola del ventilatore di raffreddamento dell’olio (41) è un po’ massiccio, ma si può facilmente rimediare ricostruendo le pale con del plasticard, useremo come dima la ventola in resina presente nel kit; riprodurremo inoltre le staffe di sostegno (A) ed il perno (B) ed aggiungendo con del filo di rame molto sottile i cavi elettrici del motorino della ventola.

Col solito plasticard ci costruiremo i pezzi che riproducono gli appoggi di fissaggio del gruppo frizione (Vedi Particolare 42 – Tavola D) al pavimento dello scafo, che è da separare con una buona lama, per riprodurre spessori inferiori (A); lateralmente, c’è da aggiungere la parte anteriore della striscetta di fissaggio (B), mentre sulla protezione del tirante registrabile del comando frizione c’è da praticare l’apertura dalla quale usciva una leva (C) Il pezzo che riproduce il serbatoio ausiliario dell’acqua (43) non è riprodotto male, ma essendo un elemento molto visibile a portelloni
aperti – se non il primo che incontriamo con lo sguardo – dobbiamo tentare per qualcosa di piu’. Per prima cosa si toglieranno le tubazioni inferiori, troppo esili, per rifare almeno quelle laterali (A), il bocchettone centrale in alto va tolto e riprodotto ex novo, più grande ed a sinistra del serbatoio (B), con la striscia orizzontale fissata lateralmente (C). Il risalto vorrebbe essere l’indicatore di livello del carburante, che però era dotato appunto dell’indicatore (D) e della tubazione, riproducibile con del filo di rame, che scorre verso la piastra laterale dello scafo con almeno un attacco (E). Posizionato il serbatoio, non resta che applicarvi sotto il tubicino di spurgo.
A questo punto inizia la grande prova; inserendo a secco la paratia, le riservette, il gruppo cambio e frizione col posto di pilotaggio dovremmo essere a posto. IN base alle proprie esperienze ed abitudini, si valuterà se sia meglio incollare già i pezzi in posizione oppure no. Il cianoacrilato in questo caso non è consigliabile, perché anche se avessimo lavorato con la migliore delle scrupolosità ci saranno sempre degli aggiustamenti da fare. Si può ricorrere allora ad un tipo di colla bicomponente, che permette per alcuni minuti di riposizionare con delicatezza i pezzi prima della presa definitiva. Quando saremo sicuri che gli interni combaciano perfettamente fra loro, lasciamoli riposare e passiamo a lavorare sull’altra parte molto importante del kit, quella interna alla sovrastruttura. Questa presenta nelle sue zone anteriore e laterali abbondanti dettagli; con la riproduzione di tutti i profilati non rimane che migliorare il più possibile lo ‘arredamento’.
Si può procedere per sottoinsiemi anche qui. L’angolo anteriore sinistro (44) è già discreto, ma la scatola delle candelette d’accensione va munita della linguetta metallica che la collegava alla struttura (A); dalla scatola partivano tre cavi elettrici che quasi subito s’univano, entrando in una canaletta, il vicino maniglione è stato ricostruito in filo di rame di opportuno diametro. Il posizionamento del tachimetro (45) è un po’ complicato, anch’esso era unito alla struttura con una linguetta (A); sul mezzo reale, sotto alla piastra dritta col suo profilato c’era la piastra inclinata (B), sorretta dall’altro lato del profilato stesso. Dopo averla riprodotto con del plasticard sul quale incolleremo dei bulloni ricavati da vecchi kits, useremo del filo di rame per riprodurre il cavo che scorreva in una canaletta (C). Nella parte interna del portello di visuale del pilota (46) c’era il pannello segnalazioni dell’interfono, collegato con un cavetto elettrico (A). Il portello stesso si è dovuto migliorare sostituendo il fusto della leva d’apertura (47), che sarebbe di per sé ben riprodotta, nel giusto spessore, ma che nella confezione usata è risultato ‘impastato’. Il cruscotto non era altro che una scatola in legno verniciato, la cui parte frontale era fissata in basso ad una lamina. Lo stampista lo ha preso pari pari, con molta abilità, dalle foto originali prese sul mezzo già citato prima, resta quello che presenta più riscontri. E’ probabile che si stato visto anche nella prima produzione di semoventi su scafo M41. Sugli esemplari di semovente M41 che abbiamo potuto fotografare il cruscotto è invece proprio quello sullo stile dello M14/41 (48); le differenze principali sembrano essere l’unica grande lampadina superiore (A) e la presenza della scatola candelette
d’accensione incorporata, i basso a destra (B). In entrambi i casi, i cruscotti erano appoggiati con le loro parti laterali al profilato orizzontale della sovrastruttura (49). La parte interna di sinistra della sovrastruttura (50 – superiormente vista dall’alto e subito in basso lateralmente) era occupata, oltre che dal cruscotto (A), da un contenitore per caricatori della Breda 38 antiaerea (B), mancante dalle stampate in resina, dal cofano alimentatore e survoltore della radio (C), seguito dall’apparato radio stesso(D). Il gruppo radio è già molto dettagliato e la semplice aggiunta dei fili di collegamento lo porta ad essere pronto senza altri interventi, il portacaricatori invece va proprio rifatto con del plasticard, aperto verso il retro del mezzo – al suo posto comunque a volte era portato un iposcopio di ricambio; completeremo coi fili dietro al cruscotto (E) e con gli attacchi elastici della radio (F). Più in basso (G) era presente una scatola accessori per il gruppo dell’apparato radio. Proprio nell’angolo, dietro alla radio, era montato un quadretto di servizio per l’impianto elettrico (51), ad uso del capocarro; tra esso ed il cruscotto era presente uno scaffale da munizioni per 18 caricatori
per la mitragliatrice Breda (52). Quest’ultimo è ricavabile in plasticard o recuperando alcuni pezzi di interni in resina, uniti per il lungo, ricordando che la costruzione lignea era irrobustita da una gabbia metallica (53). Dal quadretto di servizio partiva il filo di collegamento all’antenna della radio (54), il cui supporto – visto da sotto – è mostrato in (55). Sulla parte interna destra della sovrastruttura (56) a parte un altro quadretto di servizio per l’impianto elettrico c’erano una cassettina per alloggiarvi un cannocchiale panoramico di ricambio (A), sempre su questa parte si sistemava la Breda (B), i cui attacchi, ovviamente visibili quando l’arma era montata all’esterno, sono mostrati in (57). Dopo aver applicato i bulloni, mancanti sui supporti (58) inferiore e superiore (A e B) della massa oscillante dell’obice, non resta molto altro da fare e lo si può finalmente pensare ad una sua prossima installazione. Usando fremette montate su trapanino, lavoreremo un po’ la scudatura semisferica per simularne la costruzione in fusione, si può anche sostituire la leva di chiusura otturatore (59) o perlomeno dare più rilievo al pomello, mente la canna andrà leggermente carteggiata. Volendo fare i perfezionisti, si potrebbe sostituire la canna ed il freno di bocca con la veterana confezione in metallo bianco e resina della RCR, il cui freno di bocca, peraltro, non era riuscito altrettanto bene come quello della Model Victoria (60), pur mancando della camicia interna.
Tra gli oggetti e le dotazioni plausibili portati all’interno, il minimo ipotizzabile è rappresentato almeno dalla borraccia (61), essa era interamente foderata di panno grigioverde e provvista di una cinghia in canapa con moschettone e fibbia scorrevole; il tascapane (62) era in tela di canapa grigia, quadrangolare, con lati rinforzati in alto e tre passanti sul retro, chiuso con due strisce in cuoio grigioverde e dotato di tracolla in tela con fibbia. Entrambi possono essere recuperati da confezioni Model Victoria. Un ultimo elemento può essere una borsa portacarte (63) in cuoio marrone, appoggiata da qualche parte.
Bene, che dire ? Un cordiale saluto da Verona e ..buon modellismo !

Andrea e Antonio Tallillo
G.M.S. – Gruppo Modellisti Scaligeri – Verona